La difficile interpretazione (e collocazione) della figura dell’analista tattico in un club

14.10.2017 13:45 di Redazione FS24 Twitter:    vedi letture
Fonte: Claudio Damiani - www.mistermanager.it
La difficile interpretazione (e collocazione) della figura dell’analista tattico in un club
© foto di annca/pixabay

Considerato o snobbato?

Accertato che in altri paesi oramai l’importanza, la presenza fissa ed essenziale dell’analista tecnico è “certificata”, cerchiamo di comprendere meglio da dove nasce la reticenza nei confronti di questa figura importantissima, qui in Italia.

Nel nostro paese non è semplice trovare impiego come analista tecnico-tattico e dobbiamo confermare che, a certi livelli (dalla Lega Pro fino alla Serie A), quei pochi specialisti che eseguono con professionalità questa mansione, sono nella maggior parte dei casi, stretti collaboratori dell’allenatore e fortemente voluti dallo stesso all’interno del proprio staff.

Vi può essere talvolta qualche eccezione in cui, talune società vedono fondamentale lo studio minuzioso dell’avversario da affrontare e lo inseriscono nel proprio organigramma tecnico.

Come può iniziare un analista tecnico a lavorare per conto di una società?

Come può avvenire la firma di un contratto di collaborazione per una figura tanto importante quanto ancora sconosciuta? Consideriamo che un allenatore debba sottoscrivere un contratto con un nuovo club; ipotizziamo le due seguenti situazioni e analizziamole brevemente:

Situazione 1: L’analista tecnico è figura sempre avuta o voluta (e irrinunciabile), dall’allenatore; si possono verificare due ipotesi.

L’analista fa già parte dello staff o dell’entourage tecnico dell’allenatore. Sa cosa vuole il mister e come deve essere eseguito un lavoro/analisi grazie a un rapporto già esistente; c’è coesione e intesa. L’allenatore lavora da tempo addietro con lui.
E’ l’allenatore a volerlo inserire come nuova figura nei suoi ranghi. Non si è mai avvalso del suo contributo, ma ora ha deciso di farlo. C’è sicuramente un legame pre-esistente; l’allenatore conosce bene chi vuole, come lavora, le competenze che possiede e cosa vuole. Ha la consapevolezza di potersi avvalere di uno “strumento” in più, tanto efficace quanto importante al fine del perseguimento del suo obiettivo. E perciò lo richiede con enfasi alla società assumendosene tutte le responsabilità.

Situazione 2: l’analista tecnico fa già parte dello staff tecnico della società; anche in questo caso possiamo ipotizzare due eventi.

La società lavora già attraverso lo strumento di analisi con un collaboratore fidato o con un osservatore esperto. L’allenatore, fino a quel momento sprovvisto di quest’ ”arma” in più, scopre volentieri di collaborare con una “risorsa umana” sicuramente importante ai fini tecnici. E’ aperto alle innovazioni.
L’ allenatore entrante non ha mai utilizzato questo sistema di analisi; ne è fondamentalmente scettico e il rapporto tra le due figure è tutto da costruire. E’ la società che lo offre in quanto già tesserato in tale veste in precedenza con questo scopo ed è considerato elemento utile e vincente. Vi può essere una ripulsione da parte del neo-tecnico: non ritiene la figura del Match Analyst un mezzo valido per contribuire alla causa; il suo orgoglio e la propria chiusura alle innovazioni stabiliscono che l’attività deve proseguire senza cambiamenti; vi può essere anche una ripulsione “emotiva” nel dover condividere una stagione con un elemento della società e per certi versi “scomodo”.

Tratto dal libro: “Studiare gli avversari… e se stessi – Migliorare la prestazione con la Match Analysis” 

Autore: Claudio Damiani; Editore: www.allenatore.net (2014)